venerdì 25 settembre 2009

Articoli su Vittorio Paliotti


Una giornata con Vittorio Paliotti
L’ ALUNNO DEL SOLE
di Aurora Cacopardo


Napoli, piazza dei Martiri, le sette di sera. Da via Carlo Poerio, dopo aver lasciato la frase di un libro che non si fa domare e un personaggio non del tutto compiuto, sbuca Vittorio Paliotti: è l’ora di sfogliare la città. Ogni strada ha avuto il suo narratore: Matilde Serao scendeva per via Chiaia con il suo inconfondibile cappello; Giovanni Ansaldo procedeva a via Chiatamone con passo elegante e occhio nudo¸ Carlo Nazzaro, comprati due pacchetti di nazionali, scrutava i vicoli di Toledo. Piazza dei Martiri, ombelico della Napoli che conta, ha trovato finalmente con Paliotti il suo scrittore, ma soprattutto l’autentico palombaro degli abissi romantici e dei fondali sconosciuti della città.

Mentre gli artisti fuggono da Napoli, per sentirsi meno napoletani e più nazionali, e di tanto in tanto rilasciano interviste colabrodo della seria…”Quanto sei bella, mai più ti rivedrò…”, Vittorio Paliotti, conservatore illuminato tra folgorati progressisti e conservatori di conserva, ha deciso di amare e di odiare Napoli da Napoli.
Nel cuore e nel fegato porta la sua città.
“Due volte sono andato via dalla mia terra: Milano e Roma le destinazioni. Era il tempo in cui lavoravo nei rotocalchi veri, fatti da giornalisti veri. Sono tornato due volte perché chiamato dalla città e da certi affetti”.
Rimanere a Napoli significa attraversare continuamente la sofferenza dell’amore.
“Napoli sa essere amante fantastica e spietata nemica. Città di estrosi e invidiosi; una terra ingrata che non dà mai abbastanza a chi fa qualcosa di buono. Per chi scrive a Napoli, la fase creativa è agevolata da una quantità di fatti, eventi e idee. I guai iniziano con la fase collocativa.
Dopo i piaceri della scrittura, incomincia il lavoro per sistemare ciò che hai scritto. In più s’aggiungono i colleghi o pseudo-colleghi che ti fanno la guerra”.

Dissacratore, implacabile con chi appartiene all’ecosistema del “non pensiero”, dolce con chi ama le storie lontane dei luogocomunismi sulla napoletanità, toccato dal dono longanesiano dello strale arguto e del raro istinto dell’aneddoto, Paliotti trascorre le giornate nella casa di via Carlo Poerio tra il mattutino spoglio dei quotidiani e il furore della scrittura, tra le armate libresche delle sue biblioteche e le corse dei suoi gatti trovatelli.
“Amo i gatti: uno dei dolori più grandi della mia vita è stato la morte di Esposito. Trovai questo gattino in macchina e lo chiamai così, anche se femmina, per un duplice motivo: un omaggio a Napoli e perché era un trovatello. Dopo Esposito ho adottato Miciuzzella e Babà. Miciuzzella ora s’è fatta vecchia e quando ha fame si allunga verso di me fino a darmi un bacio sul mento; e se la fame è proprio tanta, quel bacio si trasforma in un soffice morso datomi con l’unico dente che le è rimasto. Sono Miciuzzella e Babà, adesso, che allietano le mie ore di scrittura e limatura”.

A proposito di limatura, ogni scritto di Paliotti possiede un ritmo narrativo che nasce da un grande lavoro sulla pagina: il tono giocoso, l’ironia ben misurata e la capacità di “pittare” eroi e antieroi costituiscono gli ingredienti vincenti di una pagina allegra e di spessore, leggera e sferzante, sempre “devota” alla semplicità. Oltre al talento, lo scrittore ha bisogno di essere, per dirla alla Flaiano, “rovinato dalle buone letture” e poi deve trovarsi un maestro.
Paliotti ha avuto tutto ciò: letture buone, talento (Proust, Kafka e Celine in pole position) e Giuseppe Marotta. Di quest’ultimo straordinario narratore Paliotti è da considerarsi l’ultimo alunno, l’unico erede, non solo per aver continuato nei suoi scritti ad alimentarne il mito, ma soprattutto per il fatto di aver saputo, nel corso di questi anni, conservare dentro di sé, con devozione e coraggio, lo scrigno delle confessioni marottiane.
Come il maestro, Paliotti prosegue un proprio coerente linguaggio narrativo lontano dai cannibalismi linguistici; si abbandona a un umorismo nobile, riuscendo in tal modo a indagare quella napoletanità grottesca, variopinta, chiassosa, ma sempre pervasa di un’inimitabile e dolceamara umanità; la sua poetica pone in evidenza l’astoricità di Napoli e l’atemporalità di un popolo che, nella sofferta e rassegnata scansione di un presente quasi sempre doloroso, riesce a eternare in una inviolata immobilità la propria durata di esistenza.

Severo censore della letteratura d’oggi, l’occhio letterario dio Paliotti guarda talvolta al passato: dopo Marotta il miglior scrittore che Napoli abbia avuto è stato Guglielmo Pierce:
“Scrittore immenso. Bisogna leggere ‘Pietà per i nostri carnefici’ e ‘Condannati a morte’: libri poderosi, purtroppo poco conosciuti. Pierce era un ultracomunista condannato dal regime fascista ad andare a Ventotene, finì fra i maggiori comunisti d’Italia. In prigionia s’accorse che costoro, che predicavano l’eguaglianza, avevano stabilito delle orrende gerarchie. Preferì scrivere a Mussolini per chiedere di poter essere trasferito. Napoli ha avuto il suo Proust e non se n’è mai accorta”.

Ma Napoli si è accorta di Vittorio Paliotti?
Visti i suoi successi letterari sicuramente sì, eppure crediamo che la critica – zoppicante, come al solito, con chi non appartiene alle parrocchie progressiste – non abbia ancora premiato come si deve questo narratore brillante e internazionale.
Stessa sorte toccò a Marotta che scrisse: “La critica? In genere mi tiene il broncio come se io l’avessi in qualche indimenticabile modo offesa. Al diavolo. Per me un’oncia di salute e di pace vale più di una tonnellata di alti riconoscimenti. I miei romanzi troveranno il posto cui hanno diritto. E non sarà il silenzio di alcuni criticoni a levarglielo…”.

Piazza dei Martiri, sette di sera, Vittorio Paliotti sbuca da via Carlo Poerio. Il solito fermento: Napoli sfogliata, Napoli ingrata, Napoli accattona, Napoli amata. L’ultimo alunno del sole trattiene nel cuore le parole del maestro.


Vittorio Paliotti e il costume napoletano
una intervista di Anita Curci

Volendo tracciare un quadro critico artistico e culturale della nostra città negli ultimi cinquant'anni, quali sono gli aspetti più significativi e, dove ritiene ci si sta dirigendo?
Napoli è molto mutata. Il suo patrimonio viene giorno per giorno rinnegato, andiamo verso la globalizzazione. Ci troviamo al punto che non esistono caratteristiche locali, ma omogeneizzazione. Uno scrittore si troverà a scrivere storie che possono accadere a Napoli e ovunque.

Che cosa colpisce la sensibilità di Vittorio Paliotti e lo ispira nell'approfondimento di un determinato argomento?
Quelli che approfondisco sono gli argomenti poco trattati, o comunque trattati in maniera disordinata. Non esisteva una storia organica sul culto di San Gennaro, così ho avvertito l'esigenza di scrivere "San Gennaro – Storia di un culto, di un mito, dell'anima di un popolo", per esempio. Per quel che riguarda la saggistica, di solito ho la presunzione di affrontare tematiche poco ripercorse, appunto, per scoprire o mettere in ordine; tirando fuori storie che rischierebbero di essere dimenticate totalmente. Per la narrativa, attingo a vicende capitate a conoscenti o, in genere, vissute personalmente. L'importante è raccontare un fatto vero. Anche un romanzo di fantascienza serio e non scritto per pura evasione, diventa una metafora per poter narrare qualcosa di reale, una storia vera. Scrivendo si recuperano particolari. O, quantomeno, ci s'illude di recuperarli.

Si sta dedicando ad un progetto artistico o letterario?
Sta per uscire un nuovo libro: "Festa sui muri". Dove racconto una Napoli degli anni Cinquanta nel periodo delle elezioni. E' la storia di un candidato politico, ma è anche un disegno di ciò che erano i meccanismi elettorali prima che la tv prendesse il sopravvento. In passato s'organizzavano cortei, manifestazioni, si annunciavano notizie attraverso i manifesti sui muri. Protagonista è appunto un candidato alle elezioni nazionali, un uomo puro che si trova a lottare tra persone interessate e accanite sul loro tornaconto personale.

Ha scritto anche memorabili commedie. Che opinione ha Paliotti del teatro odierno?
Si, ho scritto commedie, tra queste "Casa con panorama". Oggi il teatro è diventato un elemento di lottizzazione politica. Fino ad alcuni anni fa si faceva a spese delle compagnie, dei capocomici; oggi si fa con le sovvenzioni, ed è diventato una fonte, per non dire una risorsa elettorale.


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